Quando l'Arte diventa Yoga
L'ispirazione trascende gli stili ed è la sorgente dell'autentica espressione artistica
La radice sanscrita yuj significa 'collegare', 'congiungere'. Per Yoga s'intende quindi la capacità di collegarsi, e, precisamente, collegare la nostra coscienza individuale a quella universale.
La tradizione indovedica descrive tre principali vie (marga) dello yoga: Karma, Jnana e Bhakti. Le fonti, i testi universalmente riconosciuti come i più autorevoli in materia sono la Bhagavad-Gita e gli Yoga-Sutra, quest'ultimo conosciuto anche come Yogadarshana.
Nello Yogadarshana lo scopo è collegare l'anima individuale all'Anima suprema, il purusha al param-purusha, al fine di ottenere la libertà dello spirito (purusha) dai vincoli della Natura (prakriti) onde uscire dal ciclo altrimenti eterno delle morti e rinascite (samsara). Lo stato di libertà così conseguito in questa tradizione é definito kaivalya.
Nello yoga della Bhakti, collegare l'anima individuale all'Anima suprema, Dio. Lo stato di beatitudine che il bhakta consegue in questa tradizione é definito amore divino ed é costituito da cinque primari sentimenti estatici detti rasa.
Nell'ottica dello Yoga, per arte s'intende la non comune capacità di cogliere un senso profondo della realtà oltre le caleidoscopiche mutazioni del fenomenico e di agire e di produrre una stabile consapevolezza che consenta l'esperienza di particolari sentimenti estatici, e che risvegli altri alla percezione di un livello di realtà superiore. Anche in questo caso, l'arte é fondata su un preciso insieme di regole e di esperienze conoscitive e tecniche in vista di determinati risultati: il congiungimento con Dio attraverso l'esperienza liberatoria e purificatrice della libertà e dell'amore sacro (prema-bhakti).
Gli artisti hanno generalmente una sensibilità più sviluppata rispetto alla norma, ma il fatto di avere una percezione sensoriale più acuta non necessariamente aggiunge qualità alla vita se la persona non riesce a contestualizzarsi nel mondo, a capire chi veramente è e qual è la sua posizione nell’universo in rapporto agli altri e a Dio (yoga).
Nella mia esperienza ho osservato che anche persone internate in ospedali psichiatrici o ristrette in strutture penitenziarie possono avere una sensibilità decisamente superiore alla media, ma ció non é sufficiente a far di loro un artista nel senso dello yoga. Il fatto di percepire più intensamente il fenomenico attiene semplicemente al piano sensoriale (indriya), ma ciò che caratterizza un artista é la sua capacità di discernere tra osservatore e osservato, onde poter descrivere la realtà senza inopportune identificazioni e conseguenti distorsioni. Possedere facoltà sensoriali maggiormente sviluppate rispetto alla media, senza che queste siano ben educate, disciplinate e ben orientate, anziché procurare gioia e stimolare l’elevazione propria e altrui, spinge piuttosto verso degradanti dipendenze (bhoga).
Dalle dipendenze alle alienazioni. É pur vero che certe aberranti interpretazioni del mondo contemporaneo, con la complicità di una certa cultura pseudo estetica, sono state proposte come espressioni artistiche, premiando magari una ricercata o piuttosto esasperata innovazione formale rispetto a espressioni che di rivoluzionario contenuto artistico avrebbero dovuto avere la rappresentazione di una realtà sovra sensoriale capace di stimolare, attraverso emozioni profonde che consentono di trascendere i sensi e raggiungere l'anima, visioni ispirate a eternità, sapienza, beatitudine (sat, cit, ananda); ma, poiché la gente soggiace alla inconsapevolezza (avidya) si é pressoché smarrito il senso di realtà, e con esso la funzione e lo scopo dell’opera d’arte. Essa, come un'asta per il salto in alto, dovrebbe essere destinata a far compiere un salto di qualità evolutiva a chi la contempla, come se fosse idonea a metter le ali alla consapevolezza (vidya).
L’opera di un nevrotico, di un disturbato mentale, può essere anche qualcosa di accattivante, se si vuole anche di morbosamente affascinante, ma allo stesso tempo può mancare completamente lo scopo dell’arte così come concepito nella tradizione Yoga, in cui ciò che fa vibrare i sensi (impulso che mette brividi, vegam) e che piace, l'esperienza estetica, si coniuga all'esperienza etica, in quanto etica ed estetica sono indissolubilmente collegate e si arricchiscono in maniera reciproca per raggiungere lo stesso scopo comune: l'integrazione e l'armonizzazione della personalità per accedere alla consapevolezza della propria originaria natura spirituale, l'essenza del nostro sé (atma) e della vita (jiva).
Il modello genuinamente etico-estetico necessita di essere insegnato, studiato, imparato, seguito, interpretato, sperimentato e, tramite l’arte e la filosofia, la scienza e la religione, si possono offrire immagini simboliche per veicolare ispirazioni, riflessioni, soluzioni, significati e realizzazioni.
L'educazione etico-estetica ovviamente non dovrebbe essere esclusiva prerogativa degli artisti, poiché l'opera d'arte si realizza nella misura in cui crea una circolazione di modelli, simboli, immagini di alta levatura coscienziale, che possano ispirare intuizioni e sentimenti evoluti, dunque anche chi usufruisce dell'opera d'arte e che - assieme all'artista - partecipa alla sua espressione e manifestazione, dovrebbe essere stimolato ed educato ad acquisire quegli strumenti necessari, in primis in termini di gusto, sensibilità e conoscenza dei canoni e delle tecniche, per poter apprezzare e valorizzare l'autentica esperienza artistica. Un modello che potrebbe in qualche misura essere utile per esemplificare, seppur parzialmente, quel che intendo dire, è il Rinascimento fiorentino in cui l'opera d'arte veniva discussa anche nelle piazze. É così che, secondo la Tradizione, si dovrebbe far arte e religione, scienza e filosofia, piuttosto che rinchiudere queste discipline in roccaforti specialistiche.
Il ruolo educativo dovrebbe essere il più alto magistero, rivestire il ruolo di massima importanza nella formazione della società. Al fine di favorire l'edificazione di personalità armoniche che integrino le migliori virtù, si dovrebbe educare ogni individuo a quante più discipline è possibile secondo le potenzialità di apprendimento dello studente, lasciando poi che tali potenzialità si sviluppino nella misura in cui il guna e il karma della persona lo consentono.
Il ruolo dell'artista e l'integrazione tra Estetica ed Etica
L'artista che intraprende la via dell'arte come yoga, fa esperienza che la sua consapevolezza passa attraverso sette livelli o dimensioni di progressiva realtà (saptabhumi: nama-rupa-vibhuti-shakti-guna-bhava-svarupa) in cui, livello dopo livello si rendono disponibili facoltà coscienziali efficaci per riparare ogni difetto del carattere, onde consentire a ciascun artista-ricercatore che aspira a migliorare la propria esistenza, di elevarsi seguendo un percorso verso la riconquista del proprio originario stato di perfezione (Nitya-svarupa). Il fascino artistico di un’opera è autenticamente tale quando attrae ed ispira verso una dimensione trascendente.
Possiamo certamente apprezzare anche il ruolo e il portato di un’immagine simbolica, mitica, purché la contempliamo con maturità e rimaniamo ben coscienti che non è una forma della realtà oggettiva di questa dimensione. Ad es. l'immagine di un cavallo alato ci può offrire lo spunto della velocità del pensiero o della mente; allora, evitando atteggiamenti ingenui, non prenderemo tale immagine per realtà oggettiva di questo mondo bensì come uno spunto per accedere al reale in chiave simbolica. Ed è appunto quella realtà che trascende la diretta percezione sensoriale che l’arte, il mito e talvolta la poesia e i sogni possono esprimere con maggiore forza e immediatezza.
Il modello estetico richiede disciplina e creatività, rinnovamento continuo come esito della purificazione del cuore e dell'intelletto, dei sentimenti e della ragione, la ricerca di punti di vista sempre più alti, ma senza il sostegno dell'esperienza etica (yama-niyama) opere esteticamente superiori non si producono e il sogno si esaurisce in uno smarrimento della coscienza con esiti di delusione e frustrazione, e infine il sogno può tramutarsi in un incubo.
Un artista, come ogni altro essere umano, dovrebbe cercare di ristabilire una relazione profonda con se stesso, con gli altri, con l'universo e con le forze che lo governano, con l'origine e lo scopo della vita, e produrre opere che ispirino a questa armonizzazione.
L’artista è diverso dall’uomo comune?
In realtà tutti noi siamo potenzialmente artisti, anche se ciascun individuo si trova a un diverso livello (bhumi) di consapevolezza della realtà; e comunque le opere create dagli umani – al contrario di quelle che Dio opera per mezzo della Natura - non sempre sono autentiche espressioni d'arte, anche perché l’alienazione è ormai percepita e accettata come normalità.
La stravaganza, la smania di diventare famosi, la volontà di distinguersi ad ogni costo vanno a rafforzare l’artificiosità vorticosa della cultura moderna. Non è la mera estetica o la creatività a prescindere che costituiscono la vera opera d’arte, ma è la profondità e la luminosità del mondo interiore che l’artista esprime, quando si produce una perfetta coerenza e identità con l’oggetto della sua espressione e quando la vocazione artistica coincide con la vocazione al risveglio delle proprie e altrui facoltà superiori. L'ispirazione trascende gli stili ed è la sorgente dell'autentica espressione artistica.
In quella fase del samyama che è la fase superiore dello yoga (che include concentrazione, meditazione e assorbimento nella realtà - dharana, dhyana e samadhi), il sadhaka o in questo caso l’artista si concentra sul proprio oggetto: vuole rendere ad esempio la musica di una cascata d’acqua o la musica non udibile all’orecchio fisiologico che accompagna l’aurora, o la musica, i colori e le bioenergie (vibhuti) che accompagnano l’incontro tra due innamorati. Quando l’artista ha penetrato in sé e ha fatto suo con la concentrazione quel suono, quella visione, quel mondo, quando lo ha vissuto interiormente e ha sentito già quella musica dentro di sé, allora può tentare di offrirla agli altri.
Se cerchiamo l’ispirazione, dobbiamo rivolgerci a quelle forme superiori di espressione artistica attraverso le quali colui che vede può far vedere ad altri. Ecco perché la pratica e la rigorosa aderenza a certi canoni etici è fondamentale. L'aderenza ai principi cosmo-estetici prima di tutto consente la purificazione degli organi sensoriali, poi la purificazione della mente, poi la purificazione dell’intelletto, e finalmente la chiara immacolata luce del sé vividamente illumina anche il rapporto tra materia e spirito.
Quando la struttura psichica è purificata, la percezione del contenuto del nostro oggetto di contemplazione appare vivida, prorompente in tutta la sua realtà, come stagliata nel cielo interiore con colori che vanno molto oltre il limitato orizzonte della percezione sensoriale condizionata.
Nella visione dello Yoga, l’artista esprime la propria arte seguendo canoni già conosciuti e sperimentati nel tempo, che fungono come il telaio con cui il soggetto tesse la tela della propria evolutiva creatività.
D'altro canto, la cultura del brutto, che stimola una fantasia improvvisata e indisciplinata che inevitabilmente sfocia nell'utilizzo artificioso e artificiale di artefatti pseudo estetici può forse eccitare i sensi, la mente, l'ego e l'intelletto dell’esteticamente imbarbarito uomo contemporaneo, ma tali esperienze sono molto lontane dalla fruizione dell’arte come Yoga la quale, al contrario, può ispirare donne e uomini di buona volontá alla ricerca di una perfetta integrazione con il progetto divino universale, in armonia con la mente cosmica dell’Artista supremo, Dio.
Marco Ferrini (Matsya Avatār Dās)