Riflessioni sul karmā: natura e funzioni
La questione del karmā, sia dai punti di vista escatologico e filosofico, sia da quelli psicologico e sociologico, ha una serie di implicazioni. Il concetto di "karmā" è polisemico: va studiato da diverse prospettive semantiche.
Innanzitutto, il karmā non è una punizione: nei testi delle fonti, sia nella rivelazione vedica che nella tradizione, come ad esempio nella Bhagavad-Gītā, conosciuta anche come Gitopaniṣad, Śrī Kṛṣṇa non si presenta come un Dio collerico, rancoroso, permaloso, vendicativo che ci scaglia addosso il karmā, bensì come l’essere più amorevole, il miglior amico, l’Amico del cuore di tutti coloro che praticano il Dharma a beneficio di tutte le creature.
Il karmā è la remunerazione matematica di ogni nostra azione. Per azione non si intende soltanto uno spostamento fisico di oggetti; sono azioni, in senso più ampio, anche parole, pensieri, riflessioni e desideri. Dalla radice verbale del sostantivo karmā, "kṛ", derivano anche termini come: "kriyā-yoga", azioni preliminari dello yoga; "Kṛta-Yuga”, conosciuta anche come Satya-Yuga, o l’era della verità, della perfezione; in quanto "Kṛta”, in senso liturgico significa "fatto compiuto perfettamente” (vedi Ṣaḍ-darśana, Karmā mīmāṁsā, conosciuto anche come Pūrva-mīmāṁsā, l’Antico Vedānta).
Karmā Benefico e Karmā Malefico
Karmā, significa non solo "fare il male" ma anche "compiere il bene": vi è quindi un karmā favorevole nel senso che arreca del bene a chi lo compie e a chi lo riceve. Allo stesso tempo, anche azioni benevole producono karmā, ossia remunerazioni. Sul sentiero della realizzazione spirituale, a volte proviamo fatica, sofferenza; talora con dispiacere perdiamo dei carissimi compagni di viaggio.
Anche le esperienze di purificazione, come quelle di contaminazione, fanno parte del karmā: le azioni di sopportare, resistere, essere gentili e tolleranti (titikṣu), oppure tutti i loro contrari.
Il tipo di karmā, che potremmo definire "benefico", arreca un gran bene alla persona che lo agisce e a quella che lo riceve; ma questo tipo di bene non è desiderabile perché ci costringe a rinascere per riscuoterne i frutti, ovvero per ricevere la remunerazione del bene compiuto che ritorna tutto su di noi. Anche se non vogliamo, anche se scappiamo e ci nascondiamo, il bene ci trova e ci salta addosso, non lasciandoci scampo. Questo però attiva la dinamica per cui rinasciamo e rimaniamo prigionieri del ciclo di nascita e morte conosciuto come "saṁsāra". Questo non significa che, per via del timore che il bene ci salti addosso come remunerazione delle nostre azioni, si debba evitare di compierlo. Niente affatto! Compiere il bene è il nostro dovere terreno.
Il Naiṣkarmya e la Via della Bhakti
Per uscire da quello che potrebbe a prima vista apparire come un ciclo senza fine di morti e rinascite, vi è un'azione detta "naiṣkarmya" o "esente da karmā": essa consente la liberazione dal saṁsāra a coloro che, agendo con dedizione e devozione, offrono il frutto dell'azione a Dio (BG. XVIII.65-66).
Quando agiamo con l'attitudine dell'offerta al Signore, compiamo l'azione non per il nostro bene egoistico, per gioirne o per aspettarci la remunerazione del bene fatto, bensì per soddisfare il Signore; non desideriamo, dunque, raccogliere i frutti del nostro agire, bensì siamo pienamente soddisfatti dell'azione in sé, senza secondi fini. C'è infatti una modalità infallibile per compiere azioni esenti da karmā, ed è descritta nella via della bhakti (bhakti-Yoga), il più alto ed elevato sistema yoga descritto da Kṛṣṇa nella Bhagavad-gītā nei capitoli XII e XVIII.
Il karmā può compiersi nella modalità, ugra-karmā: karmā terribile, orrendo, che si genera dal compimento di atti crudeli. Le conseguenze sono pesanti e producono intensa sofferenza a chi le subisce e, di conseguenza, a chi le compie.
In una seconda accezione, sukṛti-karmā, è un atto virtuoso, favorevole, sattvico - dalla radice verbale sanscrita "sat”, dalla quale si generano tanti nomi: verità, santità, salute al più alto livello - che consente di produrre e raccogliere il bene.
Infine, vi è una terza accezione di karmā: il "non karmā" di cui abbiamo suddescritto l'importanza di agire secondo il naiṣkarmya, un'azione esente da karmā, al fine di non rischiare di dover rinascere per accogliere i frutti prodotti dalle azioni sia favorevoli che sfavorevoli. Il naiṣkarmya, come abbiamo evidenziato, consiste nell'offrire con spirito d'amore e di servizio il frutto del nostro agire a Bhagavān Śrī Kṛṣṇa.
L’Anima delle anime, Dio di amore, grazia e misericordia, non impone ad alcuno il limite di una sola vita per realizzarsi spiritualmente. Sa bene che gli esseri umani sono molto fragili, che sono gravati da tempo immemorabile da pesanti debiti karmici. Per questo Kṛṣṇa a chi non riesce a raggiungere la perfezione in una sola vita, offre l'opportunità di una seconda, una terza, una quarta, un'ennesima incarnazione, finché il pellegrino, purificato da tutte le impurità, giunge alla perfezione dell'esistenza, la versione pura e autentica di sé stesso:
brahma-bhūtaḥ prasannātmā
na śocati na kāṅkṣati
samaḥ sarveṣu bhūteṣu
mad-bhaktiṁ labhate parām
(BG. XVIII.54)
"A quel punto ti puoi innamorare di Me" - dice Kṛṣṇa.
Kṛṣṇa non desidera circondarsi di schiavi; né la compagnia di persone che si sentono obbligate a starGli accanto. Kṛṣṇa lascia andare coloro che desiderano prendere le distanze da Lui. Per vivere con Kṛṣṇa bisogna essere innamorati. È solo l'Amore che ci tiene in presenza di Kṛṣṇa.
Il karmā non è una punizione bensì l’amorevole cura di Dio, dell'Amico per eccellenza, Antaryāmī, che sta nel nostro cuore e ci accompagna in tutto il nostro migrare attraverso svariati mondi e differenti specie di vita, finché arriviamo al sentimento idoneo per lasciare alle spalle la dimensione mortale.
Il pianeta in cui viviamo attualmente nella letteratura puranica è denominato mṛtyu-loka, il pianeta della morte. Non è la nostra eterna dimora. Siamo qui soltanto per imparare lezioni essenziali, esistenziali, che ci riguardano profondamente; perciò questo mondo è così importante ai fini della nostra evoluzione. È un dono di Kṛṣṇa, è una Sua rappresentazione, che ci mette a disposizione affinché noi, con il corretto uso del nostro personale libero arbitrio, possiamo evolverci ed infine liberarci da tutti i condizionamenti (Bhagavad-gītā XV.15):
sarvasya cāhaṁ hṛdi sanniviṣṭo
mattaḥ smṛtir jñānam apohanaṁ
ca vedaiś ca sarvair aham eva vedyo
vedānta-kṛd veda-vid eva cāham
"Sono nel cuore di tutti, nel cuore di ogni creatura: da Me vengono la memoria o l'oblio".
Il karmā dunque non è una maledizione da cui difendersi. Se ne intendiamo bene il significato e con la pratica ne perfezioniamo la consapevolezza, diventa uno strumento prezioso per liberarsi dal ciclo di morti e rinascite (mokṣa).
Marco Ferrini (Matsya Avatār Dās)