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Non danneggiare per non essere danneggiati

Se danneggiamo qualcuno, quel male che abbiamo inferto, anche se a livello inconscio, ricade su di noi, perché il boia e la vittima seppure separati e differenti a livello dell’ego, partecipano dello stesso campo psichico inconscio.
“Chi di spada ferisce di spada perisce”, “Chi semina vento raccoglie tempesta”, “Chi la fa se l’aspetti”: sono insegnamenti contenuti nelle Scritture di tutte le Tradizioni e che appartengono alla saggezza di tutti i popoli. Questo perché “ahimsa” (la pratica della non-violenza) risponde a una concreta struttura di realtà, l’ordine cosmo-etico di origine divina (dharma).
Se beneficiamo qualcuno, sia anche una formica, un gatto, un topo che liberiamo da una situazione difficile, una mosca alla quale apriamo la finestra per farla volar fuori o una persona insistente come una mosca, che aiutiamo affinché possa ritrovare la sua dimensione, sciogliere le sue tensioni e agire in modo più costruttivo, quel che succede è che quel bene fatto ritorna su di noi per le leggi etiche che governano l’universo.
Ahimsa è un non-danneggiare inteso nella maniera più ampia ed estesa: non danneggiare con i desideri, con i pensieri, con le parole, con le azioni. Anche l’adulazione è un danneggiamento, così come la calunnia. Anche imporre le cose per il bene dell’interlocutore, anziché offrirle.
Dobbiamo scegliere di essere persuasivi, autorevoli e non autoritari, perché tutte le volte che imponiamo qualcosa esercitiamo una forma di violenza e per certo riceveremo una risposta e una reazione di segno opposto alla nostra speranza.
Marco Ferrini
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